PITTURA E COMUNICAZIONE
Narciso. (Michelangelo Merisi da Caravaggio 1597-1599) Olio su tela 112×92. Galleria Nazionale d’Arte Antica Palazzo Barberini, Roma.
Soffermandoci a guardare un affresco o un quadro, ci accorgiamo che l’autore dell’opera ha utilizzato materiali, colori e linee percepibili mediante i sensi, elementi che sono lì, presenti nello spazio cui è diretto il nostro sguardo. Eppure, la scena che ci troviamo davanti, è in grado di ritagliare uno spazio diverso da ciò che la circonda e che ci fa pensare ad altro rispetto al luogo chiuso della pittura. L’opera d’arte è infatti in grado di mettere in moto l’immaginazione come facoltà di evocare ciò che non c’è. Anche nella musica i suoni percepiti nella loro fisicità rinviano ad altro, ad una sorta di luogo indescrivibile. Precisamente, come è stato definito da Schopenhauer, “ad un paradiso sconosciuto cui non si giunge mai”. Così anche la poesia, che interpretata all’infinito dà sempre significati nuovi, poiché le parole, così come i colori nella pittura, non si esauriscono nella presenza dei caratteri scritti sul libro.
Le due facce del bello: dall’estasi mistica alla Sindrome di Stendhal
La pittura ha in comune con la musica e la poesia l’extra-territorialità e l’extra-temporalità delle cose belle, che pur rimangono incastonate come un dipinto nello spazio e nel tempo comune. In terzo luogo c’è lo shock provocato dal bello: un vero terremoto interiore che scuote e che trasforma la nostra esistenza. Talvolta, il coinvolgimento sensoriale provato dinnanzi ad un’opera d’arte, può risultare talmente acuto da provocare stati di estasi, o al contrario, sensazioni di malessere fisico e psichico. Lo scrittore francese Stendhal, viaggiatore e capostipite del mondo turista relativo alle città d’arte, descrisse in alcune pagine del suo Journal le emozioni provate di fronte alla bellezza di tali città con le seguenti parole “Il mio sentimento è così profondo che rasenta la pietà, tutto ciò parla alla mia anima…ah se solo potessi dimenticare”.
Ed è proprio dagli scritti dell’autore francese che fu coniata l’espressione “Sindrome di Stendhal” , termine ormai entrato a far parte del lessico comune per indicare un alto livello di coinvolgimento emotivo causato dall’osservazione di un’opera d’arte. Nello specifico il termine deriva dal titolo di un libro della psichiatra Graziella Magherini, un tomo che trae spunto dall’osservazione scientifica, in molti anni di attività professionale, di turisti stranieri giunti d’urgenza al servizio di salute mentale di Santa Maria Nuova di Firenze dopo una visita al Polo Museale Fiorentino della Galleria degli Uffizi. L’osservazione dei singoli casi ha permesso alla scienziata di verificare che nel corso delle crisi si animavano vicende profonde della realtà psichica e soprattutto della sfera simbolica personale.